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A review by uraniaexlibris
Harry Potter e la camera dei segreti by J.K. Rowling
adventurous
dark
emotional
funny
hopeful
mysterious
relaxing
tense
fast-paced
- Plot- or character-driven? A mix
- Strong character development? Yes
- Loveable characters? Yes
- Diverse cast of characters? Yes
- Flaws of characters a main focus? Yes
5.0
Continua il mio viaggio nel mondo di Hogwarts e questa volta dritta dritta nella “tana del Basilisco”, o forse dovrei dire: nel gabinetto del Basilisco! Ricordo che questo fu il primissimo film di Harry Potter che vidi, l’avevano passato alla tele ancora quando ero più piccola e ricordo che la cosa che mi inquietò più di tutto fu Edvige (che problemi avessi, non lo so...). Naturalmente il film lo rividi più volte nel tempo e lo apprezzai sempre di più. Il libro l’ho apprezzato allo stesso modo, anche se dovendo scegliere, preferirei vedere di nuovo il film piuttosto che rileggere il libro. In primis perchè il film allega immagini e suoni che non possono essere suppliti dal libro per ovvie ragioni. E ancora una volta sono contenta di aver prima visto il film poichè durante la lettura sono riuscita ad abbinare le scene, le voci e i suoni. Questo è sempre stato uno dei miei capitoli della saga: per Aragog, per il Basilisco, per Fanny (nome che nella traduzione nuova è stato tragicamente convertito in Fawkes, ma per me Fanny resta) certo, ma anche per i temi affrontati che, come sempre, non sono mai banali.
A partire dall’amicizia certo, ma soprattutto: il problema della fama, meritata o immeritata. È pacifico che la “guest star” (e mi si consenta di usare un termine tecnico del cinema per un libro) del romanzo sia Gilderoy Allock. Un personaggio che fa a pugni con due persone dalla nomea grande seppur diversa: Piton e Harry. Piton infatti (che come si sa, ambisce al ruolo di professore di Difesa Contro le Arti Oscure) risulta essere l’emblema del professore per eccellenza. Silenzioso, modesto, di poche parole ma efficaci, insomma, non ha bisogno di apparire per essere, per farsi rispettare e nella scena del Club dei Duellanti lo dimostra ampiamente disarmando senza troppe scene l’incapace professor Allock. Se Piton dunque sbugiarda Allock nel ruolo di docente, Harry lo sbugiarda nella gestione della fama (peraltro, nel caso di Allock, immeritata). Non si tratta solo di modestia, ma anche di atteggiamento e diplomazia in certe situazioni. Se infatti Allock deve annunciare continuamente al mondo intero le sue prodezze per poi dimostrarsi continuamente non all’altezza delle situazioni, la vera grandezza di Harry sta nel tentare di passare inosservato e tirare fuori coraggio e capacità quando ce n’è bisogno. È come se Harry e Piton in questo libro avessero quasi messo da parte l’odio reciproco per fronteggiare un “nemico” comune, una sorta di intesa che si solleva nel momento in cui uno dei due ha a che fare con quel sedicente professore. Il fallimento di Allock dunque insegna che la fama che non poggia su basi concrete ha vita breve, ma in questo capitolo della saga viene anche affrontato un altro tema molto importante: quello della schiavitù. Non è un caso che l’altra “guest star” sia Dobby l’Elfo Domestico. Quella degli Elfi Domestici è un’intera specie soggiogata nel mondo dei maghi come servitù delle famiglie più ricche. Schiavismo, sfruttamento e una vita di stenti accompagnano queste piccole creature magiche che possono essere liberate solo se ricevono in dono dal padrone un vero indumento. Dobby rappresenta quella specie che ricorda bene quanto fosse peggiore la vita sotto il Signore Oscuro e che quindi deve un miglioramento di condizione e di vita ad un allegramente inconsapevole Harry (quando mai poi Harry è consapevole degli innumerevoli benefici che ha portato al mondo magico sconfiggendo il Signore Oscuro?!). Fortunatamente per Dobby la catena della schiavitù sta per spezzarsi e sarà solo l’inizio di un lungo processo che si concluderà, fortunatamente, con la piena abolizione della schiavitù della specie. Un segno, un simbolo di civiltà e compassione che dovrebbe essere un esempio e un monito, perchè in fondo che differenza c’è tra un “Mago” e un “Elfo”?
Terzo tema è quello del razzismo. L’eterna lotta tra i cosiddetti “maghi” e “streghe” purosangue contro i “maghi” e le “streghe” di sangue misto. E qui una diatriba purtroppo a noi del mondo reale già nota irrompe prepotentemente nella storia: Malfoy, portavoce ed emblema della stirpe di maghi purosangue, dimostra come in realtà non contano assolutamente nulla origini o nomi. Chi infatti trionfa in questo libro? Chi dimostra di avere capacità enormi nonostante, e sottolineo nonostante rivolgendomi a Malfoy, il sangue misto? Butto un paio di nomi a caso, Tom Riddle (che ironia, il Signore Oscuro tanto venerato dai Malfoy è egli per primo nato da padre Babbano), Harry (la cui madre, seppur Strega, è figlia di Babbani) ed Hermione Granger, nata anch’ella da genitori Babbani. Ultimo ma non ultimo è la lealtà. Lealtà che spinge un animale come Fanny ad intervenire per salvare Harry che nonostante il pericolo rimane saldo nei suoi principi. Spunti meravigliosi su cui riflettere, ma anche estremamente educativi oltre che ad essere esempi da seguire anche nella vita di tutti i giorni e da tramandare ai vostri figli. Non mi stupirei se un giorno questa saga venisse citata accanto alle “Fiabe” dei Fratelli Grimm, talmente è analoga al genere fiabesco e venisse letta dai genitori ai loro figli per farli crescere ed educarli consapevolmente alla vita. Ma forse questa realtà è giá in atto e va bene così. Tempi moderni richiedono fiabe moderne.
A partire dall’amicizia certo, ma soprattutto: il problema della fama, meritata o immeritata. È pacifico che la “guest star” (e mi si consenta di usare un termine tecnico del cinema per un libro) del romanzo sia Gilderoy Allock. Un personaggio che fa a pugni con due persone dalla nomea grande seppur diversa: Piton e Harry. Piton infatti (che come si sa, ambisce al ruolo di professore di Difesa Contro le Arti Oscure) risulta essere l’emblema del professore per eccellenza. Silenzioso, modesto, di poche parole ma efficaci, insomma, non ha bisogno di apparire per essere, per farsi rispettare e nella scena del Club dei Duellanti lo dimostra ampiamente disarmando senza troppe scene l’incapace professor Allock. Se Piton dunque sbugiarda Allock nel ruolo di docente, Harry lo sbugiarda nella gestione della fama (peraltro, nel caso di Allock, immeritata). Non si tratta solo di modestia, ma anche di atteggiamento e diplomazia in certe situazioni. Se infatti Allock deve annunciare continuamente al mondo intero le sue prodezze per poi dimostrarsi continuamente non all’altezza delle situazioni, la vera grandezza di Harry sta nel tentare di passare inosservato e tirare fuori coraggio e capacità quando ce n’è bisogno. È come se Harry e Piton in questo libro avessero quasi messo da parte l’odio reciproco per fronteggiare un “nemico” comune, una sorta di intesa che si solleva nel momento in cui uno dei due ha a che fare con quel sedicente professore. Il fallimento di Allock dunque insegna che la fama che non poggia su basi concrete ha vita breve, ma in questo capitolo della saga viene anche affrontato un altro tema molto importante: quello della schiavitù. Non è un caso che l’altra “guest star” sia Dobby l’Elfo Domestico. Quella degli Elfi Domestici è un’intera specie soggiogata nel mondo dei maghi come servitù delle famiglie più ricche. Schiavismo, sfruttamento e una vita di stenti accompagnano queste piccole creature magiche che possono essere liberate solo se ricevono in dono dal padrone un vero indumento. Dobby rappresenta quella specie che ricorda bene quanto fosse peggiore la vita sotto il Signore Oscuro e che quindi deve un miglioramento di condizione e di vita ad un allegramente inconsapevole Harry (quando mai poi Harry è consapevole degli innumerevoli benefici che ha portato al mondo magico sconfiggendo il Signore Oscuro?!). Fortunatamente per Dobby la catena della schiavitù sta per spezzarsi e sarà solo l’inizio di un lungo processo che si concluderà, fortunatamente, con la piena abolizione della schiavitù della specie. Un segno, un simbolo di civiltà e compassione che dovrebbe essere un esempio e un monito, perchè in fondo che differenza c’è tra un “Mago” e un “Elfo”?
Terzo tema è quello del razzismo. L’eterna lotta tra i cosiddetti “maghi” e “streghe” purosangue contro i “maghi” e le “streghe” di sangue misto. E qui una diatriba purtroppo a noi del mondo reale già nota irrompe prepotentemente nella storia: Malfoy, portavoce ed emblema della stirpe di maghi purosangue, dimostra come in realtà non contano assolutamente nulla origini o nomi. Chi infatti trionfa in questo libro? Chi dimostra di avere capacità enormi nonostante, e sottolineo nonostante rivolgendomi a Malfoy, il sangue misto? Butto un paio di nomi a caso, Tom Riddle (che ironia, il Signore Oscuro tanto venerato dai Malfoy è egli per primo nato da padre Babbano), Harry (la cui madre, seppur Strega, è figlia di Babbani) ed Hermione Granger, nata anch’ella da genitori Babbani. Ultimo ma non ultimo è la lealtà. Lealtà che spinge un animale come Fanny ad intervenire per salvare Harry che nonostante il pericolo rimane saldo nei suoi principi. Spunti meravigliosi su cui riflettere, ma anche estremamente educativi oltre che ad essere esempi da seguire anche nella vita di tutti i giorni e da tramandare ai vostri figli. Non mi stupirei se un giorno questa saga venisse citata accanto alle “Fiabe” dei Fratelli Grimm, talmente è analoga al genere fiabesco e venisse letta dai genitori ai loro figli per farli crescere ed educarli consapevolmente alla vita. Ma forse questa realtà è giá in atto e va bene così. Tempi moderni richiedono fiabe moderne.