Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male, soprattutto il caso volle che finissi questo libro durante la Giornata contro la violenza di genere.
L'esordio narrativo di Mirfet Piccolo è potente nella sua semplicità strutturale, innovativo nella sua immediatezza e crudo nella sua verità. Tutto viene raccontato nell'anonimato, nessuno viene citato con un nome vero e proprio: l'identificazione non è richiesta, la storia va provata sulla pelle, sulle azioni, non importa il nome ma il peccato commesso.
Seppur con qualche sbavatura, perdonata dal nuovo medium scelto mai esplorato, il romanzo di Piccolo riesce a catturare lo sguardo del lettore, imprigionarlo - letteralmente - fra le sue pagine, i suoi post-it, a stravolgerlo e intossicarlo.
Non c'è una salvezza se non nella piccola figlia che appare, come una luce in fondo al tunnel che vediamo da lontano. Ma poi, nella realtà, quel tunnel è davvero finito? 
Un finale che considero aperto durante questa giornata, nella peggiore e spaventosa delle ipotesi, ma che mi lascia un ricordo indelebile, un sentimento - positivamente - tremendo in fondo al cuore.